Fabrizio Barca

Fabrizio Barca, co-cordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità ospite oggi a Pubblica, per una conversazione conclusiva sui temi trattati nei saggi di Barbera e Serughetti (vedi post lunedì 8 e martedì 9 gennaio). Il neoliberismo è in crisi, ci siamo ancora dentro mani e piedi? «Concordo con le conclusioni dei due autori: ci siamo con tutti i piedi, ma forse le mani cominciano a uscire fuori. Siamo quindi in un interregno», risponde Barca. Gli altri temi riguardano le destre e come esse traggono forza dai danni provocati dal neoliberismo attraverso la negazione dell’idea di società; e poi la sinistra e quanto si è lasciata sedurre dalle forze del neoliberismo.

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Filippo Barbera

Filippo Barbera è professore ordinario di Sociologia economica e del lavoro all’università di Torino. Scrive sul Manifesto, fa parte dell’associazione “Riabitare l’Italia”, del Forum Disuguaglianze e Diversità, presidente di Forwardto (studi e competenze per scenari futuri). E’ autore, tra gli altri, di «Le piazze vuote. Ritrovare gli spazi della politica», pubblicato di recente da Laterza. Con la puntata di oggi, grazie alla presenza di Filippo Barbera, proseguiamo la nostra conversazione, iniziata ieri con la filosofa Giorgia Serughetti, sui temi della partecipazione alla politica. Che cosa è successo negli ultimi decenni, dalla fine degli anni ‘70 con l’affermazione del neoliberismo? E’ successo che ha vinto l’individualismo egoistico come nuova ideologia («la società non esiste, esistono solo gli individui», diceva Margaret Thatcher, la leader conservatrice britannica, prima ministra dal 1979 al 1990). Un’ideologia – ci raccontava Serughetti – che ha prodotto quelle profonde fratture che sono all’origine delle affermazioni elettorali delle destre. I due libri, frutto di analisi e ricerche autonome, hanno diversi punti di contatto. Con il professor Barbera siamo partiti dall’idea di «piazza», dalla constazione che «come collettività organizzata – sostiene il sociologo dell’università di Torino – condividiamo sempre meno lo stesso spazio in situazioni di compresenza pubblica». E poi i concetti di «domanda di futuro» e «offerta di futuro», e a quali condizioni domanda e offerta si incontrano. «La condivisione dello spazio fisico – scrive Barbera nel suo libro – avviene a tre diversi livelli: la dimensione spaziale della sfera pubblica quotidiana»; gli «spazi intermedi dell’elaborazione politica»; e gli «spazi dei luoghi di vita o alle persone-nei-luoghi».

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Giorgia Serughetti

Giorgia Serughetti è ricercatrice in filosofia politica all’università di Milano-Bicocca. Si occupa di teoria politica e studi di genere. E’ editorialista del quotidiano “Domani”. E’ autrice di diversi libri. L’ultimo si intitola: “La società esiste” (Laterza 2023). La professoressa Serughetti ha osservato e studiato lo spazio pubblico in cui viviamo e le sue caratteristiche politiche. Come si chiama questo spazio pubblico, collettivo? E’ la società, il luogo delle relazioni organizzate tra individui. Ma attenzione: il concetto di società – ci racconta Serughetti – ha subito negli ultimi decenni una torsione, è stato maltrattato. Addirittura, si è arrivati a dire – e molti, tanti, vere e proprie maggioranze, ci hanno creduto profondamente – che la società NON esiste. Ecco allora che il libro di Giorgia Serughetti – e il suo titolo è esplicativo, “La società esiste” – ci racconta: primo, una breve storia dell’ideologia che ha negato l’esistenza della società (stiamo parlando, nientepopodimeno che del “NEOLIBERISMO”) e di quanto questa ideologia sia stata pervasiva e per molti anche convincente (una profezia che si è auto-avverata); secondo: la professoressa Serughetti analizza le conseguenze causate dalla negazione dell’idea di società, le fratture che ha provocato la cancellazione dell’idea di società. A questo punto ci sono due osservazioni che Giorgia Serughetti fa in questo suo libro, e una constatazione conclusiva: 1) l’abbandono dell’idea di società – la magnificazione dell’individualismo – coincide temporalmente con il declino della sinistra. La sinistra declina, la destra invece trova affermazioni elettorali anche nelle sue espressioni più radicali (e populistiche). La sinistra declina anche perché ci sono pezzi maggioritari della stessa sinistra che rimangono “sedotti” da alcuni assunti del neoliberismo. 2) L’altra osservazione riguarda la crisi dell’ideologia che nega la società, cioè la crisi del neoliberismo. La pandemia è il fatto rivelatore di questa crisi. Ma anche alcune trasformazioni nel lessico, alcuni ripensamenti, auto-interrogazioni, sono espressione di questa crisi. 3) Infine, la constatazione che fa la filosofa Serughetti riguarda i segnali che OGGI arrivano dallo spazio pubblico e che le fanno dire che la società, invece, ESISTE. Serughetti fa degli esempi: il caso della GKN di Firenze, il movimento ambientalista, il movimento femminista. La società esiste e sta dando – secondo Serughetti – segnali della propria esistenza: sceglie le alleanze, le convergenze, la dimensione collettiva anziché quella identitaria; la politica nella società – conclude la filosofa dell’università di Milano-Bicocca – è una politica “terrestre”: con i piedi piantati nel presente, con un’idea di futuro utopica, cioè aperta alle alternative, e nutrita dalla speranza.

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Fondata sul comando, la Repubblica ai tempi della destra di Giorgia Meloni

La forza del capo. Il progetto di premierato del governo di Giorgia Meloni. L’elezione diretta del/della presidente del Consiglio. Alla destra italiana piace l’accentramento dei poteri in capo all’esecutivo, l’indebolimento del Quirinale e del Parlamento. L’obiettivo di Meloni: varare una riforma che manderà in soffitta un pezzo portante della Costituzione del 1948. Ed aprirà alla destra-che-non-vuole-dirsi-antifascista le porte di un nuovo arco costituzionale. Pubblica, trasmissione di Radio Popolare, ha dedicato al tema quattro puntate monografiche.

Terza Repubblica? È quella che, secondo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dovrebbe nascere se il progetto sul «premierato» verrà approvato dal parlamento e poi eventualmente anche dai cittadini con il referendum. L’estrema destra italiana – che ha tra i suoi padri fondatori il repubblichino di Salò Giorgio Almirante, tra i suoi padri sdoganatori l’imprenditore iscritto alla P2 Silvio Berlusconi e tra i suoi concorrenti il separatista xenofobo Umberto Bossi – è alla ricerca di un atto che la legittimi come forza costituzionale. Non più esclusa – e mi riferisco soprattutto alla componente post-missina di questa destra – da quell’arco costituzionale antifascista che scrisse la costituzione tra il 1946 e il 1947.

La Terza Repubblica pomposamente annunciata da Meloni – se mai verrà varata – sarà un trasferimento di potere in capo al futuro o alla futura presidente del consiglio. Un potere che deriva dall’investitura diretta da parte dell’elettorato. Un potere che potrà essere esercitato sulla vita del parlamento, sulla durata della legislatura. Ma a chi viene tolto il potere che si concentrerà su Palazzo Chigi? Al presidente della Repubblica (la nomina del presidente del Consiglio, il potere autonomo di scioglimento delle camere e la gestione delle crisi di governo). E al parlamento – che vivrà al traino del presidente del Consiglio – la cui maggioranza (il 55%) sarà l’esito dei voti che prenderà il/la candidato/a presidente.

Nella prima delle quattro puntate dedicate al progetto di modifica della Costituzione, Pubblica ha ospitato Stefania Limiti, giornalista e saggista e il costituzionalista Andrea Pertici, dell’università di Pisa.

ASCOLTA LA PRIMA PUNTATA MONOGRAFICA DI PUBBLICA

La Repubblica della «stabilità dei governi». È il primo obiettivo dichiarato della «riforma» Meloni della Costituzione. Lo ha scritto nei comunicati del Consiglio dei ministri. Ma che cos’è la stabilità di cui parla Meloni? Perchè la stabilità – nella versione meloniana – è associata ad una concentrazione di potere in capo al/alla presidente del Consiglio? Se la stabilità è un valore positivo, perché non assumerne dosi via via crescenti? Meglio di no, perchè si rischierebbe, in questo caso, la deriva verso un regime autoritario. E se, invece, al posto della narrazione sulla stabilità – pretesa da questa destra – considerassimo un’altra narrazione, quella che si basa sui concetti di rigidità/flessibilità della forma di governo? Nella seconda puntata dedicata al progetto Meloni, Pubblica ha ospitato Carlo Galli, filosofo politico che ha insegnato Storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna, e Valentina Pazè che insegna Filosofia politica all’Università degli studi di Torino.

ASCOLTA LA SECONDA PUNTATA MONOGRAFICA DI PUBBLICA

Premierato e autonomia differenziata. Sta per nascere un Frankenstein costituzionale dall’incrocio tra il progetto di Giorgia Meloni e quello di Calderoli e della Lega? Da un lato l’elezione diretta del presidente del Consiglio che rompe i delicatissimi equilibri di potere tra parlamento, governo e presidenza della repubblica; un sistema di equilibri tra i poteri dello stato scritto nella Costituzione del 1948. Dall’altro lato, c’è il progetto leghista dell’autonomia differenziata, il cui effetto principale rischia di essere la frantumazione dell’unità del paese in una “secessione dei ricchi”: le regioni ricche si costruiranno le loro piccole repubbliche di fatto, le quali potranno decidere su tutto, o quasi tutto.

Entrambi questi progetti rafforzano il potere del capo: il capo del governo nazionale, ma anche il capo delle regioni, l’attuale presidente, che guiderà regioni con “superpoteri”. In entrambi i casi questa destra si muove in una precisa direzione: affermare il rafforzamento del potere esecutivo e del suo vertice come strumento di risoluzione dei problemi, illudendo i cittadini di poter scegliere qualcosa che finora è sempre stato impedito loro di fare, e cioè chi li governa. Nella terza puntata della serie dedicata alle modifiche costituzionali , Pubblica ha ospitato il costituzionalista Gaetano Azzariti, dell’università “La Sapienza” di Roma.

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Premierato alla Meloni e comunicazione politica. Se il progetto del governo di modifica della Costituzione arriverà in fondo al suo iter, cambierà qualcosa nel modo di comunicare della politica? Per la prima volta nel sistema politico italiano ci sarà la figura di un capo – a livello nazionale – che ha ricevuto un’investitura diretta da parte degli elettori. Gli anni del berlusconismo-con-Berlusconi sono già stati la prova di una comunicazione ritagliata sulla figura di un capo?

Nella quarta puntata dedicata al progetto di Giorgia Meloni, Pubblica ha ospitato Sara Bentivegna, docente di comunicazione politica all’università La Sapienza di Roma. Nella stessa puntata Carlo Mochi Sismondi, presidente del Forum Pubblica Amministrazione e membro del Forum Disuguaglianze e Diversità, ha parlato del rapporto tra il premierato immaginato dal governo Meloni e la pubblica amministrazione. Cosa cambia in questa relazione se il potere esecutivo è concentrato nella figura di un capo?

ASCOLTA LA QUARTA PUNTATA MONOGRAFICA DI PUBBLICA

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Stefano Mancuso

Gli alberi possono contribuire a sconfiggere i potenti conflitti di interesse che incombono sulla lotta contro il surriscaldamento del clima? Stefano Mancuso, botanico, docente all’università di Firenze e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, è convinto che sia possibile. Lo ha scritto nel suo ultimo libro “Fitopolis, la città vivente” (Laterza, 2023). A Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, si sta svolgendo Cop28 (la conferenza annuale dell’Onu sui cambiamenti climatici). Presidente della conferenza Sultan Ahmed Al-Jaber, potente petroliere emiratino e difensore dell’uso dei combustibili fossili. «Le sue uscite – racconta il professor Mancuso a Pubblica – hanno provocato un danno straordinario. Da una parte hanno reso evidente che queste conferenze sono ormai poco più di un vetrina dove tentare di fare del greenwashing; dall’altra il danno è rappresentato dalle parole del presidente di Cop 28, il sentir dire che la scienza non ha mai detto nulla contro i combustibili fossili è un ribaltamento della realtà». Stefano Mancuso sostiene la sua causa per fermare il surriscaldamento del clima, e cioè la “messa a dimora” del numero maggiore possibile di piante, nell’ordine dei milioni e non delle migliaia di cui si parla, quando va bene. Dove mettere a dimora queste piante? Sono le città i luoghi dove si produce il maggior quantitativo di CO2 e nelle città vanno messe le piante. «Propongo – dice il professor Mancuso – che una quantità significativa delle strade venga de-impermeabilizzata, sottratta al traffico veicolare, tolto l’asfalto e al loro posto vengano messi alberi, piante. Qui le strade devono tornare a diventare dei luoghi dove si possa camminare, andare in bicicletta, tranne che circolare con i veicoli a motore».

 

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De Kerckhove, Tafani e Benifei

Un anno di Chat GPT, il 30 novembre 2022 il programma di Open AI veniva messo a disposizione degli utenti sul web. Parallelamente, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha generato appelli e prese di posizione apocalittiche. Ad esempio, l’appello del Center for AI Safety (CAIS) di San Francisco nel maggio scorso. Il CAIS ha pubblicato una sua dichiarazione, poche righe, seguita da qualche centinaio di firme di scienziati, esperti, dirigenti d’azienda. Ci sono anche le firme di Bill Gates, Elon Musk e Sam Altman. Ecco il testo della dichiarazione: «Ridurre il rischio di estinzione rappresentato dalle Intelligenze Artificiali dovrebbe essere una priorità globale insieme con la riduzione di altri rischi come le pandemie e la guerra nucleare». E se fosse puro allarmismo? «Dovremo smettere di prenderli sul serio», racconta a Pubblica Daniela Tafani, docente di Etica e politica dell’intelligenza artificiale all’Università di Pisa. «Sono tentativi di distrarci – prosegue – dal fatto che stanno diffondendo prodotti fuorilegge. Inoltre, così si alimenta il mito dell’eccezionalismo di questa tecnologia, così potente da non essere soggetta alle vecchie leggi […] A differenza di tutti gli altri produttori che, quando hanno un prodotto fuorilegge non lo mettono in commercio, qui si cerca – attraverso l’eccezionalismo – di far adeguare le leggi al prodotto non conforme». Ospite della puntata di oggi anche Brando Benifei, deputato europeo del Pd, co-relatore sul Regolamento Ue sull’intelligenza artificiale. In chiusura di trasmisssione una breve intervista con Derrick De Kerckhove, il grande studioso ed esperto di nuovi media, erede intellettuale di Marshall McLuhan, che ho incontrato un paio di settimane fa a margine di un incontro della rassegna BookCity.

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Diletta Huyskes

Disuguaglianze di genere, stereotipi contro le donne e cambiamento tecnologico, in particolare l’Intelligenza Artificiale (IA). Pubblica ha ospitato oggi Diletta Huyskes, dottoranda in sociologia all’università statale di Milano e responsabile Advocacy&Policy dell’associazione Privacy Network. «La tecnologia è sempre stata maschile. E’ un dato di fatto», racconta Huyskes. «Di tecnologia, di innovazione, di progresso si sono sempre occupati gli uomini. E’ violenza anche questa. […] Il problema è che noi possiamo fare progressi, auspicabili, ma le tecnologie automatizzate (come l’IA) tendono ad amplificare il passato. L’IA lavora e si nutre di dati storici, quindi informazioni che raccontano il passato», sostiene la sociologa Diletta Huyskes. «Quando alimentiamo l’intelligenza artificiale su dati storici che, ad esempio, raccontano una storia di violenza e di discriminazione, di disuguaglianze di genere, il problema è che quelle stesse tecnologie tendono a riproporre sempre ciò che hanno imparato su questa storia. E’ il paradosso dell’innovazione. Ha a che fare con il fatto che si usano strumenti estremamente innovativi che, però, non fanno altro che riproporre il passato. C’è uno scarto tra innovazione futura e riproposizione di dinamiche passate. E’ oggettivamente – conclude Huyskes – un elemento di conflitto che si porrà nei prossimi anni. Ad esempio, noi potremmo riuscire a vincere delle battaglie a livello sociale che poi verranno paradossalmente portate indietro a causa dell’utilizzo sempre più consistente in ambiti decisionali (molto importanti per la vita delle persone) di strumenti come l’Intelligenza Artificiale».

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Giovanni De Luna

23 novembre 1993-2023: trent’anni fa Silvio Berlusconi apre le porte della sua costituenda creatura politica (la chiamerà “il centrodestra” e “Forza Italia”) alla destra neofascista di Fini. E’ lo sdoganamento del leader missino. Berlusconi ignora volutamente la pregiudiziale antifascista. Anni dopo, nel 2019, dirà: «li abbiamo legittimati noi i fascisti, noi li abbiamo fatti entrare al governo». Berlusconi nel ‘93 cavalca un’onda che già dal 1987, con le prese di posizione dello storico Renzo De Felice, aveva messo in discussione l’antifascismo. Pubblica ha ospitato oggi lo storico Giovanni De Luna. Gli ha chiesto anche alcune valutazioni sull’eredità lunga dei fatti di trent’anni fa. In particolare sull’ascesa al governo dell’estrema destra di Giorgia Meloni. Per concludere Pubblica ha chiesto un’opione al professor De Luna sui femminicidi e la cultura patriarcale, su quanto il berlusconismo abbia contribuito a diffondere quella cultura.

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Serena Sorrentino

Diritto allo sciopero, sanità pubblica e democrazia. Serena Sorrentino, segretaria generale della Funzione Pubblica della Cgil, ospite oggi a Pubblica. Sorrentino parla anche della violenza maschile sulle donne, delle discriminazioni di genere che si compiono sui luoghi di lavoro. «Il tema del femminicidio – sostiene Sorrentino – interroga soprattutto gli uomini. E se c’è uno sciopero promosso dagli uomini (ndr, vedi la proposta del leader della Cgil Landini) penso che sia il primo atto di una presa di coscienza importante che determinerà, forse, un cambiamento di approccio culturale e di condanna sociale che gli uomini stessi devono fare nei confronti degli uomini maltrattanti».

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Marina Calloni e Stefano Ciccone

Rompere il silenzio degli uomini sui femminicidi, rendere pubblico da parte degli uomini il ripudio della cultura patriarcale. Su questa linea la leader radicale Emma Bonino non poteva essere più chiara, in un’intervista su Domani: «E’ nel giro maschile – ha detto – che deve essere sentita la responsabilità di combattere la violenza contro le donne. Non bastano gli editoriali pensosi, serve una presa di responsabilità chiara, specifica, pubblica». E poi c’è il leader della Cgil Landini che ha detto che sta pensando a qualche forma di sciopero degli uomini contro la violenza sulle donne. E’ sulla dimensione pubblica della parola e dell’azione degli uomini contro la cultura del dominio, del controllo maschile sulle donne, che hanno discusso oggi Marina Calloni, filosofa politica, docente all’università di Milano Bicocca; e Stefano Ciccone, sociologo, tra i promotori dell’associazione “Maschile plurale”.

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